sabato 26 dicembre 2009

Santo Stefano

Sabato mattina, è il ventisei di Dicembre. Ieri era Natale, oggi è santo Stefano. Il mio onomastico. Guardo fuori dalla finestra e vedo grigio. Un manto oscuro ha ricoperto tutta la città, e si percepisce all'istante l'imminenza di una piovuta. Mi alzo dal letto: gira la testa. Ieri sera ho bevuto troppo, e anche ieri pomeriggio. E anche l'altro ieri sera. In realtà sono dieci giorni che bevo al di sopra della norma, ma il mio fisico per ora sembra reagire bene. Mi faccio passare il giramento di testa chiudendo gli occhi e respirando profondamente, così mi dirigo in cucina; il caffè è già pronto e ancora caldo. Mia madre è in salotto che sgranocchia dei biscotti intingendoli nella sua tazza di caffèlatte. Mi siedo accanto a lei e comincio a bere il mio caffè, non ho voglia del latte stamane.
Non una parola.
Mi giro per guardare meglio mia madre. Non è sveglia. Si muove, mangia, beve, ma non è sveglia. Gli occhi sono chiusi e il respiro è profondo. Sento un leggero ciabattare provenire dal corridoio. Questa è mia sorella, uno spettro. Guarda il tavolo dove io e mia madre siamo seduti e si getta di colpo dentro il bagno. Scompare per qualche minuto.
Io frattanto finito il mio caffè, mangio qualche biscotto, mentre con passo sonnolento ma deciso mi dirigo verso la mia camera. Sono le undici. Indosso i jeans, poi mi infilo una felpa nera, e alla fine mi metto gli anfibi neri. Lettore mp3, cuffiette, chiavi, sigarette, accendino, cellulare. Cellulare. Un messaggio non letto inviato da Rob.
"Mi scuso anticipatamente per il modo in cui ve lo dico ma non stando a Roma non riesco a pensare un modo migliore per dirvelo a tutti. Il padre di Laura è morto, i funerali si terranno il 23 ma non so dirvi altro, io sto cercando di anticipare il mio volo per andarci. Scusate per il pessimo risveglio."
Il messaggio è stato inviato alle 8.58 di stamattina.
Rob è davvero una persona di merda, per una cosa così delicata non può mandare un messaggio comune a tutti i suoi amici. Non può rivolgersi a tutti noi allo stesso identico modo.
Cosa cazzo sto pensando?
Comincio a piangere, e non riesco a fermare le lacrime. Scrivo un pessimo messaggio di condoglianze a Laura e prendo il guinzaglio. Giù col cane sento la pioggia irrigarmi il volto, ed ha un sapore dolce. Preferisco di gran lunga il salato delle lacrime, così mi metto il cappuccio e mi accendo una sigaretta.
Accendo l'mp3: "Vedrai Vedrai" di Lugi Tenco.
Non ci sono cani in giro, quindi la passeggiata procede piacevole e senza problemi d'alun genere, eccezion fatta per l'eccesso di muco che mi ritrovo dentro le narici. Piangere quando si è raffreddati non è affatto quella che qualcuno potrebbe definire una furbata.
La sigaretta è finita e neanche me ne sono accorto; non me la sono goduta. Ne prendo un'altra.
"Perfect Day" di Lou Reed.
Torno col pensiero al padre di Laura. Non mi ricordo la sua faccia, non mi ricordo la sua voce, non mi ricordo il suo nome. Ma piango la sua morte. La piango, continuo a piangerla, non riesco a frenare le lacrime. E non le verso per Laura, perchè so che non avrà più un padre. Non le verso nemmeno ripensando a mio padre, morto più di due anni e mezzo fa. Piango perchè la vita è davvero dura.
Il padre di Laura aveva un tumore, credo al cervello ma non ne sono certo. La sua fine era praticamente già segnata da tempo. Erano anni ormai che lottava strenuamente contro la malattia, sembrava ci provasse davvero con tutto sè stesso. In fondo, ora ha smesso di soffrire.
Possibile che l'unica alternativa alla sofferenza, al dolore, a volte non sia altrimenti che la morte? Possibile che per smetterla di non potermi godere appieno il profumo dei fiori e le risate dei miei cari debba morire?
"Kinky Afro" degli Happy Mondays.
Che fregatura la riproduzione casuale; non la metto mai, perchè proprio oggi dovevo impostarla?
Cerco la canzone da dedicare al momento, a Laura e a suo padre. E a me che piango.
"The Tide" dei Neurosis.
Non c'entra davvero nulla, ma mi piace molitssimo questa canzone.
Smetto di piangere, ma la pioggia continua imperterrita a colpire me ed il mio cane, che segue alla perfezione il mio passo, senza tirare o deviare il percorso.
Continuo a pensare a Laura, al padre, a Rob, a mio padre, a mia madre, a mia sorella.
Lunedì ci saranno i funerali, spero che Laura abbia delle belle amiche. Non tanto perchè voglia provare a rimorchiare qualcuna, ma nella vita anche le situazioni peggiori si addolciscono notevolmente se c'è una bella ragazza, almeno per quanto mi riguarda.
Ricomincio a piangere. Non voglio farlo durante il funerale, voglio svuotarmi di tutta quest'angoscia qui, in questo momento.
Ne ho abbastanza, così torno a casa. Una volta entrato, metto ad asciugare i panni fradici e mi metto una maglietta con un paio di pantaloncini da basket. Mi accendo un'altra sigaretta.
Sto fumando davvero troppo.

sabato 5 dicembre 2009

Una cimice

Mancavano una ventina di minuti alle due e il sole era alto nel cielo, un cielo azzurro come di rado capita di incontrarne a Dicembre. Entrai in casa stanco, dopo aver passato una strana mattinata che aveva scombussolato il mio modo di vedere me stesso. Una mattinata in cui feci cose che non volevo fare e che, forse, non sapevo neanche di aver fatto. Dalle sei e mezzo del mattino fino alle undici meno un quarto, momento in cui attaccai a lavorare, ho vissuto la mia vita in una focalizzazione esterna, vedevo da fuori le mie azioni e non mi capacitavo del perchè le facessi. Poi, una volta entrato nella fredda acqua della piscina in cui lavoravo come istruttore di nuoto, ripresi possesso del mio corpo e della mia mente. Ecco perchè entrai in casa stanco. Questo muovermi oltre il mio corpo mi aveva reso debole come un vecchio straccio col quale si pulisce solamente il vomito del cane; per rendere linda una bella casa serve uno straccio bello, che abbia la forza di assorbire tutte le schifezze che si depositano per terra.
Aprii la porta e con mia grande sorpresa, notai che al posto della parete con i quadri davanti a me vedevo il soffitto. Il mio cane mi aveva buttato per terra con una possente musata sulle ginocchia. Mi alzai mentre il peloso animale scodinzolava come un pazzo, così contento di vedermi in quello stato penoso. Lo carezzai con le poche forze che mi rimanevano in corpo e, gettando lo zaino accanto al divano, mi diressi verso la camera, dove avrei acceso il computer.
Era lì in tutto il suo splendore, un bel computer il mio, davvero. Aveva delle buone casse, quindi ascoltarci la musica risultava davvero piacevole. Feci una scarna pressione con l'indice sul tasto dell'accensione, quando ad un tratto scorsi una piccola figura che immobile mi osservava tra i dischi sparsi alla rinfusa sulla scrivania. Una cimice. Cristo dio quella era proprio una cimice del cazzo! Una schifosissima cimice di merda, porca puttana! A me fanno schifo gli insetti, soprattutto quelli come le cimici, che puzzano da morire. Oltretutto non ho mai capito se questi malefici insetti possano volare o meno, e ciò rendeva quello schifoso ammasso di proteine ancora più orrido e disdicevole alla mia vista. Tirai fuori dal mio organismo le energie che fino ad allora erano venute a mancare e corsi in corridoio, presi l'aspirapolvere e mi diressi verso l'odiato nemico. Una volta tornato era ancora là, fermo come una statua, che spizzava con le sue finissime antennine ogni mio movimento. Accesi l'aspirapolvere, mi ero deciso a farlo risucchiare da quell'aggeggio da me sempre odiato ma ora così utile. Avvicinai la bocca dell'elettrodomestico all'insetto che, percependo forse il pericolo, si era girato di spalle. Stava tentando la fuga, e non potevo permetterglielo. L'aspirapolvere faceva il suo sporco mestiere, aspirava aria e polvere, così come delle cartine per sigarette che riposavano libere da qualsiasi cella di cartone. Ma la cimice non ne voleva sapere di farsi risucchiare, e si attaccava avidamente su qualsiasi appiglio trovasse a portata di zampetta. Riuscì per un attimo a divincolarsi e si nascose sotto un libro. Lo sollevai e tornai all'attacco con più ardore rispetto a prima. Avevo paura potesse volare, e il rischio di ritrovarmela in faccia mentre scorreggiava con le sue ghiandole puzzifere mi terrorizzava. Ma non c'era niente da fare, trovò un nuovo appiglio, questa volta si attaccò ad un guanto di lana, e non sembrò volersi staccare, neanche con la forza. Ad un certo punto ebbe un cedimento. Le zampette posteriori si sollevarono all'aria. Sì, stava per cadere, la vittoria era ad un pugno! L'aspirapolvere la stava risucchiando, ma quella con le zampette anteriori rimase attaccata al guanto di lana. Erano passati una decina di minuti da quando l'avevo vista, ed ora la battaglia stava per giungere ad un lieto epilogo, per quanto mi riguardasse. Poi, non so se ciò che sto per dire accadde davvero, mi sembrò di vederla avanzare. Staccava una zampetta per volta, e si trascinava in avanti, cercando di fuggire dal mio strumento di morte.
Si può essere così attaccati alla vita nonostante si viva nei panni di una cimice, il più schifoso e puzzolente insetto della Terra? Cosa cazzo stavo combinando? Stavo per uccidere una creatura minuscola, insignificante, della quale non mi interessava nulla, e alla quale non interessava nulla di me. Perchè mi stavo comportando in quel modo? Mi sentii un mostro, un vile, il presidente degli Stati Uniti d'America. Spensi l'aspirapolvere, e vidi la cimice cadere sul guanto. Una frazione di secondo in più e sarebbe stata risucchiata, sarebbe morta. Mi fermai a guardarla: stava ferma sul guanto, stremata, ma viva. Era viva, e sembrava che avesse il fiatone, sembrava tremasse. Mi sentii in dovere di scusarmi con lei, e la lasciai riposare. Poi, dopo un minuto, cominciò a muoversi, e si nascose tra i miei dischi e i miei libri e le mie cartacce. Da allora non vidi più quella cimice.

martedì 1 dicembre 2009

La verità sta nello scrivere male

Cazzo sono fatto, fatto perso. Sono quasi le tre del pomeriggio e giusto un'ora fa ho smesso di farmi l'ultima canna della mattinata cominciata alle nove con l'avvento nella mia abitazione da parte di un amico con cui sto progettando di scrivere un fumetto. Ripresa di fiato per l'assenza di punteggiatura. Eravamo alla penombra della mia camera, seduti l'uno accanto all'altro; ci sentivamo così vicini nella mente, nelle idee, ma così lontani fisicamente, almeno per quanto mi riguarda. Eravamo avvolti in una coltre di fumo, una specie di spumosa nebbiolina che sembrava dividerci a chilometri di distanza. Con lo sguardo fisso sul monitor e la mente proiettata verso qualsiasi lido non constatasse uno sforzo di concentrazione, ci apprestiamo a vedere un film risalente ai primi anni Novanta, credo. Si tratta de Il Pasto Nudo, film che racconta la storia di un tossico che vive in un costante trip. Siamo nella New York degli anni Cinquanta, un po' noir e un po' conservatrice. Un tizio, per la precisione il protagonista, si fa una pera di una sostanza che veniva utilizzata per disinfestare le case dalle blatte e dagli scarafaggi. L'unico problema è che dopo questa iniezione comincia a vivere una strana storia in cui le macchine da scrivere si trasformano in pericolosi insetti spia giganti che sbavano e si ammazzano tra loro. La sua macchina da scrivere/scarafaggio lo spinge ad andare in un posto che si chiama Interzona, dove ci si droga a destra e a manca di sostanze come la "carne nera" o comunque prodotti provenienti da millepiedi giganti, e dove a quanto pare sono tutti froci. Ovunque lui vada ci sono froci: al mercato nero, nei bar e nei locali, per strada. Qualche frocio invece pare essere una specie di insetto travestito da umano che si fotte i froci e che poi li ammazza, o comunque li ferisce molto gravemente. Non si sa se li ammazzi o meno, insomma. Però una scabrosa scena presenta questo essere che sta lentamente infilando le sue zampe ossute nel volto sanguinolento di un suo giovane amante che poi non si vedrà più per tutto il resto del film, mentre all'inizio era stata una figura piuttosto ricorrente. Fattostà che questo tizio, il protagonista, va in giro a distruggere macchine da scrivere con la sua (visto che tutte le macchine da scrivere si trasformano in scarafaggi e si mangiano l'un l'altra, sono spie che lavorano per differenti padroni).Ad un certo punto una persona piuttosto importante, non ho capito quanto, gli ruba la macchina da scrivere e la tortura per carpirne i segreti riguardo ad una fantomatica associazione che lottava non so bene per cosa. Allora il tizio, che ora mi pare di ricordare si chiamasse William, continua a vagare fattissimo alla ricerca di un dottore, che naturalmente non ricordo come si chiamasse. Alla fine trova una che in realtà è uno, il famoso dottore. Si trova in una specie di monolocale grandissimo, dove sono appesi delle specie di alieni a testa in giù, i quali hanno in testa una fila di peni, proprio così, peni, dai quali esce una non meglio specificata ma piuttosto intuibile sostanza biancastra che dei tossici stavano succhiando avidamente. Questo dottore allora dice a William di andare in un posto, dove William andrà. E così finisce il film.
Sarò stato anche fatto, ma il finale non m'è parso tanto chiaro.
Dalla descrizione che ho appena fatto mi rendo conto che qualcuno possa immaginare un film trash di bassa categoria pensando ad Il Pasto Nudo. In realtà è una pellicola ricca di spunti; troviamo anche della satira politica in molte scene, sempre rappresentata attraverso efficaci metafore. Cazzo ora che ci penso il significato politico/culturale del film è notevole e molto nobile.
Però il finale non mi va giù. Non credo abbia senso. Dovrei rivedermelo, magari in condizioni migliori rispetto a quelle che avevo stamane e che ho tutt'ora.
La mia testa è leggera come un palloncino pieno d'elio, mentre le mie palpebre sono pesanti come una coperta sopra un moribondo delirante per la febbre. Gli occhi hanno voglia di chiudersi e di dire addio, almeno per il momento, alla realtà. Hanno voglia di vivere l'onirico, hanno voglia di vivere nel mondo della leggerezza e della confusione, vogliono sguazzare nel brodo primordiale che ha dato vita all'umanità, quel caos calmo che lentamente si definisce. Invece la realtà è proprio sulle mie spalle che incombe, pronta a gettarsi su di me come un avvoltoio affamato, o come la pioggia che minacciano le oscure e grevi nubi che addensano il cielo. Tra meno di mezz'ora devo uscire di casa per andare a lavorare. In realtà non vorrei lavorare ora, e non vorrei neanche dormire. Vorrei vivere in un pentagramma, e prendere a calci tutte le note per farle suonare. Oppure potrei scendere giù da uno scivolo di note distanti tra loro solo un semitono. Giù in picchiata fino al La. Dal La al La, per tutti i semitoni. Li suonerei col culo, tutti quanti. E mi massaggerebbero l'ano, il che credo possa rivelarsi molto piacevole. Un conto è una zucchina nel culo, un conto è una panciuta e morbida nota che ti accarezza la "fessura delle chiappe".
Oltretutto se uno avesse la bocca al posto del buco del culo vomiterebbe merda. O cagherebbe vomito?
In fondo non credo che entrambe le vedute possano rivelarsi giuste. Una per forza è più giusta dell'altra. In fondo una bocca vomita, non caga. Quindi vomiterebbe merda. Se uno avesse il buco del culo al posto della bocca cagherebbe vomito, solo in quel caso.
Quindi però per dare valore alla mia tesi debbo anche tener conto dell'apparato digerente degli esseri umani, che dovremmo posizionare esattamente al contrario rispetto alla norma. Dalla testa parte l'intestino, e al sedere arrivano la trachea e poi la laringe. Ma gli altri organi interni probabilmente subirebbero notevoli modifiche dall'inversione di tutto un apparato. Quindi a quel punto dovremmo immaginare degli uomini al contrario, a testa in giù. Questi, abituati a vivere a testa in giù, penseranno di vivere a testa in sù. Vivrebbero in un mondo tutto loro. Ci alzerebbero il dito medio in faccia e si farebbero beffe di noi, riderebbero del nostro stare a testa in giù.
Dio, è probabilissimo che noi viviamo a testa in giù.
Anche se trovo molto più probabile il fatto che non esista un giù, come non esista un sù. Ma come lo spiego ai miei occhi. Non voglio dire che è tutto relativo, è facile uscirne così. Preferisco uscirne sconfitto, è molto più difficile.
E tra cinque minuti devo uscire di casa. Devo affrontare queste scurissime nubi cariche di pioggia, pronte a pisciarmi addosso in qualsiasi istante. Pronte a divertirsi con me, una formichina che sta giù per terra. Maledette, che un raggio di sole possa fendervi da parte a parte e accompagnarmi per la mia strada. Se solo le nuvole sanguinassero staremmo tutti a sparar loro addosso.
Dico io, che cazzo venite a fare qua a rompere i coglioni alla gente onesta che lavora? Ma perchè non andate a rompere il cazzo in Congo dove la gente muore di sete? E rompete il cazzo un po' anche a loro, no?
Tra tre minuti devo uscire di casa, ma ho ancora addosso il pigiama.

Cinque minuti fa dovevo uscire di casa. Sto ancora in pigiama.

mercoledì 18 novembre 2009

Gli Abbracci Spezzati

Non date troppo credito a ciò che segue, grazie. Nel senso, non ho la presunzione di dire di aver scritto una recensione, punto primo perchè il film è inserito in un contesto puramente narrativo, punto secondo perchè sono di parte, punto terzo perchè l'analisi non è molto curata. Bella.

Martedì 17 Novembre, sono le otto di sera e chiacchiero con due miei amici davanti al cinema. Stiamo per entrare, dobbiamo vedere l'ultimo film di Almodovar. Io non mi sento tanto bene: la gola mi fa malissimo e brividi sparsi in tutto il corpo preannunciano l'alzarsi della temperatura corporea. Oltretutto il carico da novanta me lo danno proprio loro, i miei amici, dicendomi che arriverà a breve la mia ex con delle sue amiche. Avremmo dovuto vedere il film assieme a loro. Io non avevo alcuna voglia di vedere la mia ex, non in quanto tale ma in quanto persona a me poco gradita in quel preciso istante, e soprattutto le sue amiche, che se fossero state belle ed interessanti non avrei mai potuto approcciare viste le mie pessime condizioni fisiche. Fossero state invece brutte sarebbe stato comunque un dispiacere per i miei occhi avidi di bellezza e di armonia trovarsi di fronte uno spettacolo non esaltante. Così, col sapore di morte in bocca, i brividi che mi lacerano le ossa, e l'insostenibile noia nel dover vedere persone che non voglio vedere, mi accingo a pagare i tre biglietti d'ingresso con la mia bella banconota da 100 euro.
Dopo poco arrivano Lorenza e le sue amiche, che poi sono tutt'altro che amiche visto che hanno la barba. Insomma, va bene che non voglio vedere ragazze, ma tantomeno voglio vedere dei ragazzi che hanno appena terminato una lezione di filosofia. Quasi del tutto rassegnato all'ineluttabile pesantezza degli eventi che incombono su noi poveri esseri umani mi reco all'interno della sala per vedere questo benedetto film. Speriamo sia un bel film.
Ore dieci e venti. Il film è finito. Dopo aver constatato l'ora mi stupisco che il film sia durato solo due ore, pensavo di essere stato dentro quella sala almeno tre ore. Il film non m'è piaciuto: banale, noioso e surreale nel senso negativo del termine. C'è una che gli sta morendo il padre, allora arriva il suo datore di lavoro che fa in modo che il padre riceva le migliori cure possibili. Lei in cambio se lo scopa con una certa regolarità, e diventano a tutti gli effetti una coppia di fatto. Lei non fa un cazzo dalla mattina alla sera, e le dispiace perchè vorrebbe fare l'attrice. Allora va a fare un provino da un tizio che le da la parte solo perchè è fica. Cominciano le riprese e si capisce che i due si piacciono reciprocamente, e l'uomo della mignotta manda il figlio sul set affinchè riprenda tutto e gli porti il materiale, insomma vuole che spii la sua donna. Per i primi tempi attrice e regista scopano senza problemi, ma a un certo punto vengono scoperti e scappano perchè il tizio ricco, l'uomo della mignotta, rosica e ammazza di botte la sua donna. Insomma questi scappano e se ne vanno in un posto non meglio specificato, al mare. Un bel giorno fanno un incidente e lei muore, mentre lui, il regista, diventa cieco.
Tutto questo è un flashback che racconta il regista ormai ceco ad un ragazzo, il figlio della sua agente. Poi gli ultimi dieci minuti del film non ve li racconto; non tanto perchè rischierei di rovinarvi il finale, quanto perchè ho impostato il discorso in una certa maniera e non riesco a terminarlo se non lasciando perdere il prosieguo. Per carità, dei colpi di scena ci sono ma sono del tutto insignificanti e recitati perdipiù malissimo. Al fine della fiera non contano un cazzo.
Insomma, un film privo di contenuti e di "hype". Le uniche cose belle sono le riprese, il montaggio e la fotografia. Ma sono di un bello che non interessa, almeno personalmente. Il bello fine a sè stesso non conta nulla. Scene bellissime montate divinamente che guardi e dici: "però, bello". E poi? Nulla. Ho provato la stessa sensazione che provai ascoltando l'omonimo degli Emerson Lake & Palmer. Bravi, bravissimi, fenomenali, ma cosa mi volete dimostrare? Quanto siete bravi? Ecco. La stessa cosa mi ha lasciato questo film di Almodòvar. Sì Pedro, sei bravo, contento? Ora vai a giocare con gli amici, ti chiamo quando è pronta la pappa. Se sei così insicuro non darti al cinema figlio mio, ma ad una bella terapia di gruppo.
Fuori dal cinema discuto animatamente con Lorenza riguardo a questo film, visto che a lei è piaciuto tantissimo. Non mi capacito del fatto che ad una persona intelligente possa piacere un film del genere.
Ad un certo punto la situazione si fa piuttosto calda tra di noi, ed io comincio a dire frasi senza senso vista la febbre che stava salendo inesorabilmente, così decidiamo di separarci. Mi bevo una birra con i miei due amici, mi ascolto tutto Wish You Were Here dei Pink Floyd saggiamente messo in casse dal barista, e concludo la serata a casa mia, con una bella tachipirina.

Voto per il film: su cinque, je do du' pallette.

Stefeno.

P.S.: nonostante quegli eventi avversi, ho passato un'ottima serata con il buon Luca ed il buon Riccardo, e per questo vorrei ringraziarli.

venerdì 13 novembre 2009

Un uomo, un fallimento

Mi ammazzo.
Questa è la sentita decisione che ho preso dopo una lunga e seria riflessione sulla mia vita e su come gira il mondo in generale. Non c'è davvero più nulla che io riesca a fare per tirare avanti, perchè in queste condizioni non si può. Sono un inetto, uno sfigato, faccio pena e compassione a me stesso, non me ne frega degli altri, sennò non avrei sicuramente scelto la via del suicidio. Certo che la decisione è sofferta: la mia famiglia, i miei amici e... basta, nient'altro. Non vedo opportunità in questo futuro, non vedo luce, non vedo sbocchi verso la felicità. E sono stanco di andare avanti, sono stanco di spaccarmi i neuroni cercando un pensiero positivo che non riesce mai a presentarsi come tale. L'ho trovata, in un cassonetto, la scorsa settimana, mentre buttavo l'immondizia. Non so che pistola sia, so che è una pistola, e credo d'aver capito come funziona. C'è un solo proiettile, mi basta caricare con la levetta che sta là dietro e premere il grilletto. Bang! O click. Dipende se il proiettile è in canna o meno. Ma non voglio giocare alla roulette russa, non mi sento in vena. Voglio morire e basta, la pallottola la preparo subito.
Certo che me la ricordavo meno pesante questa pistola, mamma mia. E se il rinculo devia il proiettile e non muoio ma mi ferisco gravemente? Magari vivrò per tutta la vita come un vegetale. No. Non voglio vivere come un vegetale, voglio morire.
Certo che il mio ultimo pasto è stata una cotoletta cotta pure male da mia sorella.
E l'ultima sigaretta non è che me la sia goduta poi così tanto.
Oltretutto debbo pure dare una fotocopia ad un'amica. Le serve per l'università poverina, come farà senza?
Non credo sia il momento giusto per suicidarmi.
Però prima o poi lo farò, lo giuro. Su di me.
Ora porto giù Arturo che deve fare cacca e pipì, se non ci fossi io non so come farebbe.

giovedì 12 novembre 2009

Mattinata di sole

Stamane è successo un fatto davvero strano, una cosa che non credo mi sia mai capitata in vita mia. O se m'è capitata me la sono certamente dimenticata, o in alternativa ero troppo piccolo per potermelo ricordare. Mi sono svegliato felice. Non lo so perchè, tutto sta assumendo una bella piega ai miei occhi. Le nuvole le vedo lontane dalla mia finestra, dietro le montagne, e l'azzurro del cielo mi sta inondando di tutta la sua beneficenza. Sì, quando ero più piccolo era sempre così ora che ci penso. Quando avevo cominciato a scoprire quel fantastico mondo che è la musica, quando avevo visto che le ragazze potevano essere più che cavie per i miei esperimenti sull'infiammabilità dei capelli. Mi sono alzato dal letto ed ho preso un disco dalla libreria, Rumours dei Fleetwood Mac. Lo inserisco nello stereo e metto subito la quinta canzone, Go Your Own Way. Quella sì che è la canzone pop definitiva degli anni '70. Vedo la mia Cadillac arrugginita che corre libera per qualche squallida statale del centro america, mentre ai lati mi si parano squallide tavole calde e squallidi bar frequentati assiduamente da squallidi vecchi repubblicani amanti delle proprie famiglie. La canzone comincia: "Loving you, isn't the right thing to do...", ed io mi appresto a preparare il caffè. Una volta salito, e versato nella tazza col latte, la canzone finisce, ma avevo impostato il loop e riparte immediatamente. Ah che colazione fantastica, che magnifica giornata che mi si prospetta! Se un dio esiste sta tutto nel tabacco che mi sono fumato subito dopo aver fatto colazione. Com'è difficile in questo momento credere in qualcosa di superiore!
Torno in camera con la bocca che è un misto di sapori: caffèlatte, biscotti, tabacco, e mi piace. Mi giro verso la mia libreria. Com'è bella, nessuno ne ha una tanto bella. I libri dell'università in alto, i vocabolari di italiano, latino, greco ed inglese nel ripiano subito sotto. Poi parte la sezione dischi, molto ben nutrita nonostante sono mesi che non compri un disco. E poi ancora sotto ci sono i miei libri, quelli che ho cercato e che ho letto e che ho amato: tutta la collezione di John Fante, qualche libro di Bukowski, George Orwell, Milan Kundera, Stefano Benni, James Joyce, Ernest Hemingway e tanti altri. A sinistra ci sono il ripiano fumetti, che non leggo da davvero troppo tempo e me ne dispiaccio, il ripiano cassette (odio i dvd, la cassetta ha quel carattere vintage che rende il film molto più intimo e in un certo senso più vero poichè dentro la cassetta c'è una pellicola, il dvd non ho la più pallida idea invece di cosa nasconda al suo interno). Ancora più sotto ci sono i libri del liceo, che ogni tanto sfoglio, per ricordare. Ogni volta penso di aver buttato i miei cinque anni di liceo, mi sono comportato come un buono a nulla, ho studiato davvero troppo poco. Apro il libro di filosofia del secondo liceo. Che palle la filosofia del secondo liceo: Bruno, Cartesio, Leibniz, Spinoza. Li odiavo, per me parlavano del nulla. In realtà non li ho mai studiati, ma dalle spiegazioni mi sono sempre parsi abbastanza noiosi. Gli unici filosofi che mi siano davvero piaciuti in secondo liceo sono stati Hume, nonostante fosse fastidiosissimo il suo modo di pensare, e Kant. Una persona come Kant non nasce tutti i giorni, e neanche tutti i secoli. Ne nasce uno per millennio.
Alzo lo sguardo alla mia collezione di dischi, la mia sudatissima collezione. Non sono poi così tanti, un centinaio forse, ma ognuno di quei dischi racconta una storia. Mi ricordo ogni singolo acquisto nei più minimi particolari. Mi ricordo il primo disco originale che ho comprato da solo con i miei soldi, il quarto dei Led Zeppelin datato 1971 del quale non si sa quale sia il titolo. C'è chi dice che si chiami "Untitled", chi "Led Zeppelin IV", chi "Four Symbols". Non mi preme più di tanto. In questo momento c'è qualcos'altro che attanaglia la mia mente, una sensazione fortissima alla quale debbo dare adito nella maniera più assoluta. C'è una gioiosa nostalgia che esplode nel mio cuore proprio in questo momento. Prendo il primo disco dei Rainbow del '75 e lo inserisco nello stereo. Dio come comincia bene, il riff "spaccamontagne" di Man On The Silver Mountain mi riporta a quattro anni fa. Come sto bene in questo momento, come gioisco dentro, come sono felice! Lo sto ascoltando tutto, e lo sto percependo con ogni singola parte del mio corpo. Ci sono delle canzoni che mi viene voglia di abbracciare, quelle canzoni che un tempo ascoltavo tutti i giorni e che mi facevano sentire così bene, così importante e così elitario perchè in classe mia, a parte rari casi, i massimi lidi verso cui si spingevano i compagni erano gli Oasis, i fratelli Gallagher come le colonne d'Ercole. Non sapevano cosa si perdevano quegli sciocchi, ed io ero felice che non ne avessero idea. Ero migliore di loro per questo.
Ed eccomi qua, a fumarmi la seconda sigaretta della giornata, mentre ascolto l'ultima canzone del disco. So che una volta finita la canzone dovrò tornare nel mondo reale, non ci sarà più tempo per queste piacevoli reminescenze sensoriali. Devo andare alle poste per pagare una multa, in banca per pagare una bolletta, e poi all'università per sbrigare scomode pratiche burocratiche. Quanto è noiosa la vita. Ma finchè avrò le mie sveglie felici, i miei dischi e i miei libri, le mie sigarette e il mio caffè, questa vita mi sembrerà sempre la migliore possibile.
You can't always get what you want, you can't always get what you want, you can't always get what you want, but if you try sometimes you just might find, you just might find, you get what you need .

martedì 10 novembre 2009

Un momento

Il suono di quella chitarra acustica mi faceva impazzire. Dodici corde d'amore, dodici corde di dilettantistica passione. Mio padre spesso si metteva a suonarla, seduto sul divano. Suonava e cantava, nonostante non fosse capace a fare nessuna delle due cose. A lui non importava, le faceva, e ci metteva tutto sè stesso. Cantava Guccini, De Gregori, De Andrè, e lo faceva a modo suo. Stonando, storpiando, inventando a volte le parole. Io ero piccolo, mi ricordo che mi sedevo davanti a lui e lo guardavo. La chitarra era bellissima, l'aveva comprata nel 1975. Aveva messo da parte dei soldi per comprarsi una Cinquecento. Poi la vide, bellissima, nuova di zecca. Così la comprò, la sua Ibanez dodici corde. Era così orgoglioso di quella chitarra; mi ricordo che quando io e mia sorella eravamo piccoli la nascondeva sopra la libreria perchè aveva paura che potessimo romperla.
Ecco ora mi ritorna in mente il mio vecchio, quasi per sbaglio, senza volerlo. Sono quei ricordi immagazzinati nel cervello che ogni tanto spuntano fuori senza chiedere il permesso a nessuno.
Il calore di questa casa, un tempo, si poteva percepire in un baleno. Sembra che tutto il calore di questa casa si trovasse nella sua folta barba, che nascondeva quel bellissimo sorriso che ogni tanto distoglieva lo sguardo dai suoi occhi azzurri come il cielo.
Adesso nessuno si siede davanti a me mentre provo a suonare la chitarra o il basso. Adesso ognuno ha da fare le sue cose, più o meno importanti. La casa è fredda da due anni a questa parte, e se non ci fosse il cane probabilmente sarebbe anche molto poco frequentata. Per carità, di amore ne circola tantissimo, ma le cose che ci tenevano uniti sembrano essersi dissolte, volate via assieme alla polvere in quel freddo pomeriggio di Marzo.
Ecco, mi piacerebbe per un attimo rivivere quei momenti. Mi piacerebbe vederlo suonare la sua chitarra, seduto sul divano; mi piacerebbe contemplarlo come un dio, come colui il quale mi ha dato la vita, tutto.