mercoledì 9 novembre 2011

Ricordi

Seduto. Seduto per terra, tra la fanghiglia marroncina che ti si incolla alle suole delle scarpe. Io ci stavo con tutto il culo poggiato, là tra la fanghiglia. Mio padre controllava la canna da fondo che aveva preparato "per prendere i pesci più grossi, che quelli stanno nel fondo"; io invece avevo la mia cannetta da pesca, piccolina piccolina, con un galleggiante giallo che a fatica si riusciva ad individuare tra le acque verdi e melmose del laghetto. Avrò avuto otto anni, non di più. Entrambi, io e mio padre, bevevamo una coca.
Faceva caldo, era una splendida giornata di sole. Quel bel sole di maggio che presagisce l'arrivo dell'estate, la fine della scuola, le vacanze, il mare, e le pubblicità degli zaini e degli astucci in tv. Mio padre aveva incastrata tra le labbra una sigaretta. Fumava tanto. Io invece ero bruttissimo: avevo gli occhi giganti, i capelli corti, e degli incisivi dalla larghezza quasi imbarazzante. I miei primi denti veri. Ed eravamo in silenzio.
Seduti, tra la fanghiglia, lui a guardare la punta della sua canna ed io a guardare il mio galleggiante giallo. Non avevamo preso nulla, e spesso dopo quei pomeriggi passati al laghetto tornavamo a casa a mani vuote. Però mi piaceva tanto: mi piacevano le libellule e mi piacevano i bigattini, mi piaceva la cassetta degli attrezzi da pesca, mi piacevano gli ami e i piombini. Mi piaceva anche la fanghiglia, aveva un odore buono che era diventato quasi familiare. E rimanevamo in silenzio.
Mi ricordo che quel giorno non abbiamo tirato su neanche un pesce alla fine, e mi ricordo che nascosto nella folta barba di mio padre c'era un sorriso magico ed incantato. Ricordo che mi disse "facciamo una sorpresa a mamma: andiamo in pescheria e compriamo due trote belle grosse, e le diciamo che le abbiamo pescate noi". Era uno scherzo divertente, per un bambino di otto anni. Così andammo in pescheria, e comprammo le due trote.
Una volta tornati a casa ci accolsero mia madre e mia sorella, che stavano sul divano a guardare un telefilm. Un poliziesco, conoscendo i gusti di mia madre. Entrammo in pompa magna, e mio padre disse "avete visto Stefano cos'ha pescato?". Io le avevo pescate, io. Non lui. Io avevo fatto tutto da solo, ero diventato bravissimo, mi mancava poco per diventare come il mio grande eroe dalle grandi orecchie a sventola: sorriso di sole Sampei.
Mia madre mi sorrise e mi fece tanti complimenti; poi cucinò i pesci e li servì a tavola. A me il pesce è sempre piaciuto tantissimo, quindi avrò sicuramente apprezzato la cena.
Prima di andare a letto sentii mia madre dire a mio padre, a bassa voce per non farsi scoprire: "guarda che lo so che le trote a maggio non ci sono nel laghetto della Marcigliana".
Sì, un tempo eravamo una famiglia davvero felice.

venerdì 21 ottobre 2011

Dal dentista

Era settembre. Dentro casa guardavo dalla finestra la città che mi si scagliava contro come un pugno nell'occhio. Era la classica tarda mattinata di fine settembre; sembrava facesse caldo, sembrava si potesse uscire in pantaloncini corti e mezze maniche.
Dieci minuti dopo uscivo dall'ascensore con i jeans neri lunghi, la felpa verde col cappuccio tirato su e "Borracho" di Mark Lanegan alle orecchie.
Ci volevano circa cinque minuti per arrivare dal dentista, e cinque minuti sono due canzoni brevi, o tre canzoni brevissime, considerando che potevo anche rallentare il passo. Lungo la strada incontrai Giorgio, batterista dai lunghissimi capelli ricci, neri come la pece. Aveva le labbra carnose, e gli occhi scuri. A descriverlo così può sembrare un bel ragazzo, in realtà credo sia una delle persone più brutte che abbia mai visto in vita mia e spero vivamente non venga mai a conoscenza di queste righe. Chiacchierammo del più e del meno, della sua band e dei Nirvana, e poi mi congedai immediatamente, piuttosto frettolosamente, colpito da un'illuminazione.
Presi l'ipod e feci partire "Here" dei Pavement. Era proprio quello di cui avevo bisogno, un'altra illuminazione vincente. Bravo Stefano, migliori di giorno in giorno.
Arrivato dal dentista mi resi subito conto che la musica non era la solita. Danilo, il dentista, mi accolse infatti con Flamenco Sketches di Miles Davis. La cosa mi riempì di gioia. Molta meno gioia mi concesse la fredda poltroncina su cui mi sdraiai, e gli strumenti di tortura appoggiati sul vassoio alla mia destra.
-Cosa dobbiamo fare Stefano?-.
-Guarda, io fumo troppo e probabilmente bevo anche troppo caffè, fatto sta che debbo fare una pulizia dentale anche perché mi si stanno ingiallendo un sacco i denti e mi si sono formate delle orribili macchie nere sugli incisivi.-
-Io quelle te le posso togliere ma tu devi diminuire le sigarette.-
-Contaci Danilo, contaci.-
-Davvero, ti fa male fumare. E poi tu sei un cantante...-
-Lo ero a 17 anni Danilo, ho lasciato perdere. E oltretutto le sigarette abbelliscono di molto la voce. Guarda Tom Waits per esempio.-
-Ah, ma lo sai che la scorsa settimana ho comprato Rain Dogs?-
-In quanto a musica non mi hai mai deluso, per questo sei il mio dentista.-
-Non dire cazzate Stè, ti ho salvato i denti insegnandoti ad usare lo spazzolino.-
-Anche questo è vero.-
-Stefano, io ti ho insegnato ad usare lo spazzolino a 16 anni, non è normale.-
-Lavarsi i denti è superfluo. Lavarsi è superfluo. Tanto poi mi sporco di nuovo.-
-Ma poi puzzi.-
-Infatti mi lavo perché sennò nessuna ragazza mi caga. E sto qui a farmi pulire i denti da te per lo stesso motivo.-
Seguirono qualche risata e qualche altra battuta, finché non cominciò con i suoi strumenti di morte a massacrarmi la bocca. Dio, volevo urlare. Io non sopporto facilmente il dolore, la mia natura è pigra quindi soffrire dolore fisico diventa una fatica insormontabile. Mi innervosisco facilmente e mi rovino tutta la giornata.
Passò una mezz'ora abbondante con vari aggeggi nella mia bocca: tubi, trapani ad ultrasuoni, lime e quant'altro. Poi mi spruzzò in tutta la bocca una sostanza liquida non meglio identificata dal fresco sapore di ciliegia. Fu piacevole, a suo modo.
Uscito dallo studio mi avvicinai alla prima macchina a portata di tiro. Vidi la mia immagine riflessa sullo specchietto laterale. Sorrisi. Avevo dei denti bianchissimi.
Presi l'ipod. Dovevo scegliere la canzone adatta.
"Something I Learned Today" degli Husker Du.
Se imparai una cosa, quel giorno, fu l'importanza di lavarsi i denti. E non per chissà quale motivo. Semplicemente, poi, andare dal dentista, diventava veramente troppo doloroso.

domenica 9 ottobre 2011

Ciaff. Ciaff. Ciaff...

Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Signora mia, lei non può capire quanto nuota male. Non oso immaginare come cammina, ma dalla nuotata sembra che le abbiano ficcato un palo al culo. Le sue braccia signora, le sue braccia! Le tiene troppo rigide, le muove ma poi non sposta l'acqua. Lei fatica e basta signora.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Mi giro verso destra, dove c'è l'orologio. Sono le tre, ho attaccato a lavorare da un'ora. Mi sembra sia passata un'eternità.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Guardo fuori dalla vetrata; il cielo è sereno, ma tira vento. I panni stesi dei balconi che danno sulla piscina si agitano, sembra che vogliano scappare. Io sono come loro adesso, vorrei scappare. Vorrei accendermi una sigaretta, prendere la macchina, mettere a tutto volume i Fleetwood Mac e sfrecciare a tutta birra verso la libertà. E invece sono qui, seduto su una sedia di plastica, ad aspettare che si facciano le sette e mezza.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Guardo la signora che sta nuotando. In realtà non è una signora, ma è una ragazza. Avrà massimo trent'anni, mi sembra di capire dal suo sedere bello sodo. Poi mi accorgo lentamente che non solo ha un bel sedere sodo, ma anche un gran bel paio di tette. Indossa però gli occhialini, e la cuffia, quindi il suo viso per me rimane un mistero. E allora comincio ad immaginare.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Li vedo. Vedo i tuoi capelli ricci, lunghissimi, neri come la pece. Che bel contrasto con la tua pelle così chiara,  e con i tuoi occhi così verdi, così brillanti. Mi sorridi, passi accanto a me.
-Ciao- e mi mostri quella lunga fila di perle bianche.
-Ciao- e la mia voce, come al solito, non è mai profonda abbastanza per risultare minimamente affascinante.
Si ferma lì accanto a me, e parliamo. Io le dico quant'è noioso stare lì seduto, a guardare persone che nuotano. Però poi le racconto di quanto sia bello lavorare con i bambini, insegnar loro a nuotare. Vederli ridere, giocare. Vederli contenti perché hanno imparato grazie al mio aiuto a nuotare senza alcun sostegno, senza alcun galleggiante. E così le faccio capire quanto il mio animo sia sensibile. Poi le parlo dei miei interessi, di me al di fuori della piscina. E così le faccio capire quanto il mio spirito sia tormentato. Lei è interessata, io forse mi dilungo un po' troppo parlandole di musica, citandole gruppi e generi che mai ha sentito nominare nella sua vita.
-Che dici, ti va di venire via con me? Abito proprio qui di fronte-.
Io esco, rimango in abiti da lavoro, lei è davanti a me. Apre il portone del palazzo di fronte alla piscina. Il palazzo con i balconi pieni di panni stesi, che assecondano il vento e le sue direttive. Saliamo insieme le scale, e il mio cuore batte forte. Lo sento in gola, e le mie mani sono sudate. Le gambe, quelle non me le sento più da qualche minuto. Mi rendo conto di avercelo duro come non mai. Davvero, lo dico spesso, ma questa volta è vero. Cristo quanto è duro, una cosa del genere mai nella vita.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Mi giro verso destra, dove c'è l'orologio. Sono le tre e tre minuti. Possibile che il tempo passi così lentamente?
La ragazza esce fuori dall'acqua, io continuo ad essere eccitatissimo. Si toglie gli occhialetti, e la cuffia. Mentre va per indossare l'accappatoio la osservo bene. Capelli mossi, biondi. Gli occhi non riesco a vederli, è troppo lontana. Ha i lineamenti molto marcati, il suo viso è spigoloso. Ha le labbra sottili, e per questo deve essere una persona cattiva. Tutte le ragazze con le labbra sottili sono persone cattive, me lo dice sempre un mio amico.
Si avvicina verso di me, ma io non ho il coraggio di guardarla in faccia.
-Ciao- mi dice lei, senza accennare neanche un sorriso.
-Buona giornata- le rispondo io, guardando in basso, mentre cerco di non far svanire la bellissima immagine che pochi secondi prima mi aveva totalmente rapito.

Mi giro verso destra, dove c'è l'orologio. Sono le tre e cinque. Faccio un rapido calcolo mentale. Mancano sei ore alle sette e mezza.
Mi rendo conto che è impossibile che manchino sei ore.
Sconfortato, non so quanto manchi alle sette e mezza. Non ho voglia di scoprirlo.
Questa giornata sarà davvero lunga.

lunedì 3 ottobre 2011

Dio, quanto tempo!

Ultimamente mi capita spesso di scrivere. Scrivo su dei pezzetti di carta, molto piccoli. E per piccoli intendo della grandezza di uno scontrino. Detta tra noi, scrivo davvero sugli scontrini. Quando ci sono i momenti di noia a lavoro, in cui non ho voglia né di leggere né di stare ad osservare l'interessante vuoto che masnade di genti diverse mi propongono ogni giorno, prendo uno dei miliardi di scontrini che conservo nel portafogli e mi metto a scrivere. Che poi non ho mai capito perché conservi tutti questi scontrini. Poi, da bravo scrittore quale sono, poggio gli scontrini nel posto "ognidove" e, inesorabilmente, finisco col perderli, per sempre. Così ho deciso di riconsiderare le priorità della mia vita, dedicando così anche un po' di tempo a questo povero blog abbandonato.  Questo blog che una volta aveva anche qualche sostenitore. Incredibile. Comunque ho deciso che terrò da parte i miei scontrini d'ora in poi, e che pubblicherò su questo blog i miei inutili frammenti di pensiero. No, di scrivere tanto non se ne parla, da un anno a questa parte sembra che non ne abbia più le capacità.

Basta, basta. Che sono stanco e ho voglia di fumare.

martedì 29 marzo 2011

Permette una domanda?

Eccoti qua Stefano, quando non hai nulla da fare parti sempre sul piede di guerra con queste immaginarie interviste a te stesso.
Ma guarda che in realtà non sono immaginarie, sono vere e proprie interviste, e la certezza che queste avvengano sta nei caratteri leggibili or ora sullo schermo.
Sì, ma potrebbe essere una falsa intervista. In realtà non ti stai intervistando, stai solo scrivendo.
Sto dando risposte, è per forza un'intervista... dovrei evitare di rispondere oppure dovrei essere talmente malizioso dal riuscire ad estraniarmi da me stesso per far rispondere il mio corpo in maniera totalmente inconsapevole. Ma a quel punto diverrei davvero un genio maligno.
Dai chiudiamola qui, è un'intervista.
Perfetto.
Perchè scrivi? Cos'hai?
Mah, le solite cose. Quell'infelicità che ogni tanto spunta dal nulla e mi colpisce in pieno. Sì, è recidiva questa bastarda. E, naturalmente, come al solito, non v'è alcun motivo perchè questa sia subentrata proprio ora.
Quindi non sei felice.
No.
Ma in realtà lo sei.
Oggettivamente credo di esserlo, soggettivamente no.
Non ha senso.
Ah, nella mia testa ha un senso eccome!
Lo so, la tua testa è anche la mia testa.
E allora perchè mi fai queste domande?
Sennò che intervista sarebbe?
Scusa, hai ragione anceh tu.
Niente.
Comunque, ripeto, sono infelice. Non mi piace la mia vita, non mi piace il mio lavoro, non mi piacciono i miei amici, non mi piace la mia ragazza, non mi piace la musica che sto ascoltando, non mi piacciono i libri che sto leggendo.
Eppure sono cose che solitamente ti piacciono.
Ma sì, è un'infelicità estemporanea questa, stai tranquillo che a breve andrà a scocciare qualcun altro lasciandomi in pace.
Lo spero proprio.
Senti io ora mi fumerei una sigaretta, forse ne ho bisogno.
Pensi di averne bisogno, non ne hai davvero bisogno.
Ma io sono perchè penso, quindi NE HO BISOGNO.
Questo ragionamento non fa una grinza... il cogito ergo sum de sigarette powered by il René Descartes di Rebibbia.
Smettila di fare il finto erudito! Hai usato quattro lingue in una frase, e probabilmente hai anche sbagliato l'ablativo!
Non credo esistesse un termine per indicare le sigarette all'epoca dei Cesari.
No certo, intendo dire che hai sbagliato a declinarlo.
Se così fosse hai sbagliato anche tu.
Cazzo, da questa faccenda non se ne esce più.