mercoledì 1 ottobre 2014

1-2-3-4.

Il mattino è una mandorla mistica. No, non è vero, a malapena ricordo cosa sia la mandorla mistica. Il mattino ha l'oro in bocca. No, non è vero, la mia bocca fa schifo, sa di morte. Il mattino è fresco bello e frizzante. Sì, questo è vero quando non piove. Oggi non piove.
Alzo il pollice verso il sole in segno di approvazione.
Stamattina non  ho particolarmente voglia di affrontare la giornata. Mi sudano i piedi, sono raffreddato, mi sento sporco e brutto e terrificante ed inapprezzabile. Vorrei che la giornata volasse rapida, vorrei che le ore si trasformassero in minuti ed i minuti in secondi. Tra sette ore debbo stare a lavoro, dovrei correre subito. Considerando che ci vogliono una ventina di minuti fino alla piscina in cui ora lavoro rischierei di tardare di quasi un giorno. Li chiamo e dico loro che sto male.
1-2-3-4.
1-2-3-4.
1-2-3-4.
Credo che il mondo si divida più o meno in due grandi gruppi umani: il gruppo dei sicuri ed il gruppo degli insicuri.
I sicuri sono quelli che riescono ad amare sé stessi e che non hanno bisogno di nessuno per sentirsi a proprio agio nel mondo.
Gli insicuri sono quelli che non riescono proprio ad amare sé stessi incondizionatamente  e che hanno bisogno degli altri per sentirsi a proprio agio nel mondo.
Io credo proprio di far parte del secondo gruppo.
Ho un bisogno terribile di approvazione, di apprezzamenti; ho bisogno di essere preso e portato in alto su nel cielo in cima ad una montagna altissima dove l'aria è freschissima, riscaldato dall'abbraccio di una dea sul cui seno possa sciogliermi inebriato di felicità. Ho bisogno d'essere amato.
La fregatura è che quando sei uno del gruppo degli insicuri e cominci a frequentare una ragazza che fa parte del gruppo dei sicuri puoi star certo che le cose, almeno all'inizio, non andranno affatto bene.
Per carità, siamo stati meravigliosamente le prime tre settimane: baci, abbracci, sesso ogni giorno anche più volte al giorno, sguardi luminosi, dolci sorrisi, dita tra i capelli e parole sussurrate al tramonto. Ed io sono un insicuro, che ama gli altri, che ama Lei, e che voleva dirglielo. Ed era sera, ed eravamo ubriachi, ed eravamo ad una festa, e lei era bellissima, ed io mi scoprii dicendole:"Sbaglio se ti dico che ti amo?". E lei sorrise, e diventò ancora più bella, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime perché tutta quest'emozione il cuore da solo non riusciva a trattenerla.
Che serata.
Sono passate quasi tre settimane da quella sera. Abbiamo fatto sesso tre volte in questo arco di tempo. O forse due volte, non ricordo. Due volte, due volte, solo due volte, ora ne sono sicuro.
Due volte in tre settimane, Sono sei settimane che ci frequentiamo. Sei settimane è poco più di un mese.
Non mi bacia più come mi baciava prima, non mi guarda più come mi guardava prima, non mi parla più come mi parlava prima.
Anzi, non mi parla più.
Glielo dico, le cose non vanno bene. Sicura di voler stare con me?
"Sì".
Ma scusami, quando ci vediamo ti annoi e non parli, quando ci vediamo non sei mai tu a cercare di baciarmi ma è sempre il contrario, quando ci vediamo non facciamo più sesso. Sicura di voler stare con me? A me non sembra proprio.
"Sì, te lo direi se non volessi stare con te".
Forse per lei l'importante è stare con sé stessa, non capisce che la cosa non è per forza di cose reciproca. 
Quindi, come dicevo, potete star certi che all'inizio le cose non saranno per nulla facili. Sarà frustrante vedere davanti a voi una persona a cui dareste tutto che in cambio non vi concede neanche un bacio. 
Eh ma poi...
...
Poi?
Il passato è passato. Il futuro è un mistero. Il presente è un dono.
Credo sia il caso di parlare. Oppure potrei lasciar scorrere le cose e vedere come vanno, sforzandomi di non essere innamorato e vivendomi una relazione così, sentendola un paio di volte al giorno al telefono, vedendola un paio di volte a settimana, annoiandoci, senza fare del sano e piacevole sesso.
Magari capisce che non le piaccio. O magari capisce che le piaccio davvero.
Nel frattempo vivrei nella certezza di avere una ragazza, il che non è poco.
"Sai com'è, la mia ragazza dice che...", "una volta la mia ragazza è andata...", "incredibile ti chiami proprio come la mia ragazza".
Ah che stupido che sono! Se solo avessi quindici anni... e invece ne compirò venticinque tra due mesi.
Era da molto che non scrivevo.

martedì 7 maggio 2013

Dormire mi è insopportabile


C’erano delle volte, quando stavo a letto sotto le coperte, in cui mi capitava di ripensare ad avvenimenti lontani dei quali tuttora mi vergogno moltissimo. Ogni qualvolta la mente volgeva a questo tipo di pensieri, l’imbarazzo passato tornava a farsi presente, più vivo che mai, e il sotto coperta diventava il nido in cui mi rifugiavo dal giudizio altrui. E ne ho passate tante di notti simili. La cosa brutta del coricarsi è proprio questa, il momento in cui ci si sdraia e si decide di dormire. Certo, la mia coscienza sporca è sempre stata un grosso problema; era quello infatti il momento in cui mi giudicavo più ferocemente, quello il momento in cui dovevo trovare delle giustificazioni convincenti per ingannare me stesso. Una vita passata ad ingannare gli altri e me stesso, in queste poche e concise parole si potrebbe descrivere la mia effimera esistenza. Eppure non erano questi i momenti in cui il coricarmi mi risultava più doloroso.

Una donna. Una donna da sola è riuscita a tenermi insonne intere notti, una donna da sola è riuscita a farmi traboccare lacrime sul guanciale, una donna da sola è riuscita a farmi fremere dalla rabbia, a farmi struggere dal dolore, una donna da sola. Una donna, un amore, il dolore più grande che mi stesse arrecando la vita. Mi ricordo ancora quella notte passata insonne pensando a lei, rigirandomi nel piumone, mordendo i cuscini, tirando pugni al materasso: mi venne la febbre, finché alle sei del mattino non riuscii ad addormentarmi. A mezzogiorno mi ero alzato, e della febbre più nessuna traccia.

Mamma, da quando me ne sono andato di casa sono regredito tornando ad uno stadio infantile che poco si confà ai miei ventitré anni. Ci sono delle notti, quando l’addormentarmi riesce più difficile, in cui vorrei tornare ad avere quattro anni per potermi alzare dal letto in piena notte, entrare nella tua stanza, ed infilarmi sotto le coperte accanto a te, protetto dal tuo abbraccio  la cosa più bella che la vita mi abbia mai donato. Mamma, da quanto tempo non mi abbracci, troppo. Ricordo con tanta nostalgia le volte che mi rannicchiavo tra le tue braccia. Ma crescere è significato rinunciare a tutto questo, e solo ora mi rendo conto del vuoto che questo crescere mi ha lasciato.

Non importa quanto calde possano essere le coperte; la stanza era gelida, ed io da solo non riuscivo ad affrontarla. “La mia stanza ridiventava il punto fisso e doloroso delle mie preoccupazioni” scriveva Proust, e in effetti tra quelle gelide mura si racchiudeva tutto il mio malessere. Era l’armadio bianco, era la scrivania ingombra, era l’orologio a muro. Tutto mi fissava con sguardo inquisitore e tutto mi ricordava la mia inettitudine. Lo specchio, che sempre è stato il mio peggior nemico, mi rammentava la mia viscida esistenza. Non che non sia piacente, ma c’è qualcosa nel mio sguardo che non sopporto e che non riesco a trattenermi dall'odiare  Nei miei occhi verdi ho sempre visto una fragilità così femminile da farmi tremare.  Non c’era via di scampo da questo orrore, se non il sonno che come sempre tardava ad arrivare.

Vorrei semplicemente qualcuno accanto che mi protegga e che giustifichi la mia presenza qui.

venerdì 13 gennaio 2012

Sanguinare

Erano i tempi del liceo. Tempi che rimpiango da quando ho messo piede fuori da quelle quattro mura, e tempi che però ricordo con un po' d'angoscia ed inquietudine. C'era questa ragazza, Laura, che era bellissima. Credevo di essermene innamorato; innamorato come mai nella mia vita e probabilmente come mai nella vita di ogni altra persona al mondo. E non credo sapesse neanche che io esistevo. Laura; la guardavo mentre fumava, con la sigaretta in bilico tra le sue dita affusolate: inspirava il fumo come fosse il più delicato e prezioso dei tesori di questo mondo infame e lo riconcedeva dolcemente all'umanità intera aprendo gentilmente la bocca. Immaginavo di essere quel fumo, di entrare nella sua bocca e di scendere giù per la gola fino ai polmoni, per poi risalire dolcemente e passare sulla lingua, tra i denti, strusciando le labbra, ritrovandomi improvvisamente all'aria aperta in un'esplosione di vitalità e gioia. La guardavo da lontano, eppure tremavo come se le stessi accanto. Lei non lo sapeva, non poteva neanche immaginare quanto io potessi renderla felice, quanto avrei potuto farla sentire una regina tra le regine. Io sarei potuto essere il suo cavaliere senza macchia e senza paura; avrei combattuto centomila draghi e un milione di maghi malvagi pur di ricevere uno dei suoi luminosi sorrisi. Eppure ero sempre lontano, sempre in disparte, attento a non incrociare il suo sguardo affinché non capisse dai miei occhi trasparenti come l'acqua il turbinio di sentimenti che mi divorava lo stomaco ogni volta che la fissavo. Lei non doveva sapere, lei non doveva neanche sospettare. Immaginavo bene cosa avrebbe pensato, e questo mi faceva male. In fondo per lei, come per molti altri, sarei stato lo stupido ragazzo coi capelli lunghi che indossava le magliette dei gruppi rock, che abitava in periferia in uno squallido palazzone di cemento. Stupido. Stupido perché da tale mi comportavo, e da tale continuo a comportarmi ancora adesso. Eppure Laura, non avresti mai potuto immaginare cosa potesse nascondere il mio fragilissimo petto. Laura, qui c'è un cuore, un cuore enorme, il cuore più grande che esista qui sulla Terra, talmente grande e talmente pieno d'amore per te che deborda sentimenti e che squaglia le mie viscere. Un cuore che arriva fino alla gola e che tenta di uscire dalla mia bocca per correre da te e schiantarsi sui tuoi dolcissimi seni. Un cuore che non ho mai saputo assecondare, che non ho mai saputo decifrare e che mai saprò pienamente esprimere. La mia lingua inciampa, i miei gesti sono sconnessi, un abbraccio rischierebbe di farmi svenire, con la schiena che urlerebbe pietà per l'immane quantità di brividi che stimoli. Anche la scrittura, forse la cosa in cui riesco meglio, non può star dietro questo cuore così grande e così vivo. Questa sporca tastiera e questo computer senz'anima mai riusciranno a spiegare davvero come stavano le cose. Ma io rimarrò per te lo stupido ragazzo coi capelli lunghi, che indossa le magliette dei gruppi rock, che abita in periferia, in quel palazzone di cemento che è un pugno nell'occhio per una città bella come Roma. E lo rimarrò per sempre.
Oh Laura. Adesso la mia vita è un'altra, e non so più tu dove sia. E il mio cuore appartiene ad un'altra ragazza, la migliore che questo sporco mondo abbia mai partorito. Eppure, dentro di me, c'è ancora una minuscola fibra del mio corpo che ti desidera come tanti anni fa.
Oh, Laura.

mercoledì 9 novembre 2011

Ricordi

Seduto. Seduto per terra, tra la fanghiglia marroncina che ti si incolla alle suole delle scarpe. Io ci stavo con tutto il culo poggiato, là tra la fanghiglia. Mio padre controllava la canna da fondo che aveva preparato "per prendere i pesci più grossi, che quelli stanno nel fondo"; io invece avevo la mia cannetta da pesca, piccolina piccolina, con un galleggiante giallo che a fatica si riusciva ad individuare tra le acque verdi e melmose del laghetto. Avrò avuto otto anni, non di più. Entrambi, io e mio padre, bevevamo una coca.
Faceva caldo, era una splendida giornata di sole. Quel bel sole di maggio che presagisce l'arrivo dell'estate, la fine della scuola, le vacanze, il mare, e le pubblicità degli zaini e degli astucci in tv. Mio padre aveva incastrata tra le labbra una sigaretta. Fumava tanto. Io invece ero bruttissimo: avevo gli occhi giganti, i capelli corti, e degli incisivi dalla larghezza quasi imbarazzante. I miei primi denti veri. Ed eravamo in silenzio.
Seduti, tra la fanghiglia, lui a guardare la punta della sua canna ed io a guardare il mio galleggiante giallo. Non avevamo preso nulla, e spesso dopo quei pomeriggi passati al laghetto tornavamo a casa a mani vuote. Però mi piaceva tanto: mi piacevano le libellule e mi piacevano i bigattini, mi piaceva la cassetta degli attrezzi da pesca, mi piacevano gli ami e i piombini. Mi piaceva anche la fanghiglia, aveva un odore buono che era diventato quasi familiare. E rimanevamo in silenzio.
Mi ricordo che quel giorno non abbiamo tirato su neanche un pesce alla fine, e mi ricordo che nascosto nella folta barba di mio padre c'era un sorriso magico ed incantato. Ricordo che mi disse "facciamo una sorpresa a mamma: andiamo in pescheria e compriamo due trote belle grosse, e le diciamo che le abbiamo pescate noi". Era uno scherzo divertente, per un bambino di otto anni. Così andammo in pescheria, e comprammo le due trote.
Una volta tornati a casa ci accolsero mia madre e mia sorella, che stavano sul divano a guardare un telefilm. Un poliziesco, conoscendo i gusti di mia madre. Entrammo in pompa magna, e mio padre disse "avete visto Stefano cos'ha pescato?". Io le avevo pescate, io. Non lui. Io avevo fatto tutto da solo, ero diventato bravissimo, mi mancava poco per diventare come il mio grande eroe dalle grandi orecchie a sventola: sorriso di sole Sampei.
Mia madre mi sorrise e mi fece tanti complimenti; poi cucinò i pesci e li servì a tavola. A me il pesce è sempre piaciuto tantissimo, quindi avrò sicuramente apprezzato la cena.
Prima di andare a letto sentii mia madre dire a mio padre, a bassa voce per non farsi scoprire: "guarda che lo so che le trote a maggio non ci sono nel laghetto della Marcigliana".
Sì, un tempo eravamo una famiglia davvero felice.

venerdì 21 ottobre 2011

Dal dentista

Era settembre. Dentro casa guardavo dalla finestra la città che mi si scagliava contro come un pugno nell'occhio. Era la classica tarda mattinata di fine settembre; sembrava facesse caldo, sembrava si potesse uscire in pantaloncini corti e mezze maniche.
Dieci minuti dopo uscivo dall'ascensore con i jeans neri lunghi, la felpa verde col cappuccio tirato su e "Borracho" di Mark Lanegan alle orecchie.
Ci volevano circa cinque minuti per arrivare dal dentista, e cinque minuti sono due canzoni brevi, o tre canzoni brevissime, considerando che potevo anche rallentare il passo. Lungo la strada incontrai Giorgio, batterista dai lunghissimi capelli ricci, neri come la pece. Aveva le labbra carnose, e gli occhi scuri. A descriverlo così può sembrare un bel ragazzo, in realtà credo sia una delle persone più brutte che abbia mai visto in vita mia e spero vivamente non venga mai a conoscenza di queste righe. Chiacchierammo del più e del meno, della sua band e dei Nirvana, e poi mi congedai immediatamente, piuttosto frettolosamente, colpito da un'illuminazione.
Presi l'ipod e feci partire "Here" dei Pavement. Era proprio quello di cui avevo bisogno, un'altra illuminazione vincente. Bravo Stefano, migliori di giorno in giorno.
Arrivato dal dentista mi resi subito conto che la musica non era la solita. Danilo, il dentista, mi accolse infatti con Flamenco Sketches di Miles Davis. La cosa mi riempì di gioia. Molta meno gioia mi concesse la fredda poltroncina su cui mi sdraiai, e gli strumenti di tortura appoggiati sul vassoio alla mia destra.
-Cosa dobbiamo fare Stefano?-.
-Guarda, io fumo troppo e probabilmente bevo anche troppo caffè, fatto sta che debbo fare una pulizia dentale anche perché mi si stanno ingiallendo un sacco i denti e mi si sono formate delle orribili macchie nere sugli incisivi.-
-Io quelle te le posso togliere ma tu devi diminuire le sigarette.-
-Contaci Danilo, contaci.-
-Davvero, ti fa male fumare. E poi tu sei un cantante...-
-Lo ero a 17 anni Danilo, ho lasciato perdere. E oltretutto le sigarette abbelliscono di molto la voce. Guarda Tom Waits per esempio.-
-Ah, ma lo sai che la scorsa settimana ho comprato Rain Dogs?-
-In quanto a musica non mi hai mai deluso, per questo sei il mio dentista.-
-Non dire cazzate Stè, ti ho salvato i denti insegnandoti ad usare lo spazzolino.-
-Anche questo è vero.-
-Stefano, io ti ho insegnato ad usare lo spazzolino a 16 anni, non è normale.-
-Lavarsi i denti è superfluo. Lavarsi è superfluo. Tanto poi mi sporco di nuovo.-
-Ma poi puzzi.-
-Infatti mi lavo perché sennò nessuna ragazza mi caga. E sto qui a farmi pulire i denti da te per lo stesso motivo.-
Seguirono qualche risata e qualche altra battuta, finché non cominciò con i suoi strumenti di morte a massacrarmi la bocca. Dio, volevo urlare. Io non sopporto facilmente il dolore, la mia natura è pigra quindi soffrire dolore fisico diventa una fatica insormontabile. Mi innervosisco facilmente e mi rovino tutta la giornata.
Passò una mezz'ora abbondante con vari aggeggi nella mia bocca: tubi, trapani ad ultrasuoni, lime e quant'altro. Poi mi spruzzò in tutta la bocca una sostanza liquida non meglio identificata dal fresco sapore di ciliegia. Fu piacevole, a suo modo.
Uscito dallo studio mi avvicinai alla prima macchina a portata di tiro. Vidi la mia immagine riflessa sullo specchietto laterale. Sorrisi. Avevo dei denti bianchissimi.
Presi l'ipod. Dovevo scegliere la canzone adatta.
"Something I Learned Today" degli Husker Du.
Se imparai una cosa, quel giorno, fu l'importanza di lavarsi i denti. E non per chissà quale motivo. Semplicemente, poi, andare dal dentista, diventava veramente troppo doloroso.

domenica 9 ottobre 2011

Ciaff. Ciaff. Ciaff...

Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Signora mia, lei non può capire quanto nuota male. Non oso immaginare come cammina, ma dalla nuotata sembra che le abbiano ficcato un palo al culo. Le sue braccia signora, le sue braccia! Le tiene troppo rigide, le muove ma poi non sposta l'acqua. Lei fatica e basta signora.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Mi giro verso destra, dove c'è l'orologio. Sono le tre, ho attaccato a lavorare da un'ora. Mi sembra sia passata un'eternità.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Guardo fuori dalla vetrata; il cielo è sereno, ma tira vento. I panni stesi dei balconi che danno sulla piscina si agitano, sembra che vogliano scappare. Io sono come loro adesso, vorrei scappare. Vorrei accendermi una sigaretta, prendere la macchina, mettere a tutto volume i Fleetwood Mac e sfrecciare a tutta birra verso la libertà. E invece sono qui, seduto su una sedia di plastica, ad aspettare che si facciano le sette e mezza.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Guardo la signora che sta nuotando. In realtà non è una signora, ma è una ragazza. Avrà massimo trent'anni, mi sembra di capire dal suo sedere bello sodo. Poi mi accorgo lentamente che non solo ha un bel sedere sodo, ma anche un gran bel paio di tette. Indossa però gli occhialini, e la cuffia, quindi il suo viso per me rimane un mistero. E allora comincio ad immaginare.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Li vedo. Vedo i tuoi capelli ricci, lunghissimi, neri come la pece. Che bel contrasto con la tua pelle così chiara,  e con i tuoi occhi così verdi, così brillanti. Mi sorridi, passi accanto a me.
-Ciao- e mi mostri quella lunga fila di perle bianche.
-Ciao- e la mia voce, come al solito, non è mai profonda abbastanza per risultare minimamente affascinante.
Si ferma lì accanto a me, e parliamo. Io le dico quant'è noioso stare lì seduto, a guardare persone che nuotano. Però poi le racconto di quanto sia bello lavorare con i bambini, insegnar loro a nuotare. Vederli ridere, giocare. Vederli contenti perché hanno imparato grazie al mio aiuto a nuotare senza alcun sostegno, senza alcun galleggiante. E così le faccio capire quanto il mio animo sia sensibile. Poi le parlo dei miei interessi, di me al di fuori della piscina. E così le faccio capire quanto il mio spirito sia tormentato. Lei è interessata, io forse mi dilungo un po' troppo parlandole di musica, citandole gruppi e generi che mai ha sentito nominare nella sua vita.
-Che dici, ti va di venire via con me? Abito proprio qui di fronte-.
Io esco, rimango in abiti da lavoro, lei è davanti a me. Apre il portone del palazzo di fronte alla piscina. Il palazzo con i balconi pieni di panni stesi, che assecondano il vento e le sue direttive. Saliamo insieme le scale, e il mio cuore batte forte. Lo sento in gola, e le mie mani sono sudate. Le gambe, quelle non me le sento più da qualche minuto. Mi rendo conto di avercelo duro come non mai. Davvero, lo dico spesso, ma questa volta è vero. Cristo quanto è duro, una cosa del genere mai nella vita.
Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff. Ciaff.
Mi giro verso destra, dove c'è l'orologio. Sono le tre e tre minuti. Possibile che il tempo passi così lentamente?
La ragazza esce fuori dall'acqua, io continuo ad essere eccitatissimo. Si toglie gli occhialetti, e la cuffia. Mentre va per indossare l'accappatoio la osservo bene. Capelli mossi, biondi. Gli occhi non riesco a vederli, è troppo lontana. Ha i lineamenti molto marcati, il suo viso è spigoloso. Ha le labbra sottili, e per questo deve essere una persona cattiva. Tutte le ragazze con le labbra sottili sono persone cattive, me lo dice sempre un mio amico.
Si avvicina verso di me, ma io non ho il coraggio di guardarla in faccia.
-Ciao- mi dice lei, senza accennare neanche un sorriso.
-Buona giornata- le rispondo io, guardando in basso, mentre cerco di non far svanire la bellissima immagine che pochi secondi prima mi aveva totalmente rapito.

Mi giro verso destra, dove c'è l'orologio. Sono le tre e cinque. Faccio un rapido calcolo mentale. Mancano sei ore alle sette e mezza.
Mi rendo conto che è impossibile che manchino sei ore.
Sconfortato, non so quanto manchi alle sette e mezza. Non ho voglia di scoprirlo.
Questa giornata sarà davvero lunga.

lunedì 3 ottobre 2011

Dio, quanto tempo!

Ultimamente mi capita spesso di scrivere. Scrivo su dei pezzetti di carta, molto piccoli. E per piccoli intendo della grandezza di uno scontrino. Detta tra noi, scrivo davvero sugli scontrini. Quando ci sono i momenti di noia a lavoro, in cui non ho voglia né di leggere né di stare ad osservare l'interessante vuoto che masnade di genti diverse mi propongono ogni giorno, prendo uno dei miliardi di scontrini che conservo nel portafogli e mi metto a scrivere. Che poi non ho mai capito perché conservi tutti questi scontrini. Poi, da bravo scrittore quale sono, poggio gli scontrini nel posto "ognidove" e, inesorabilmente, finisco col perderli, per sempre. Così ho deciso di riconsiderare le priorità della mia vita, dedicando così anche un po' di tempo a questo povero blog abbandonato.  Questo blog che una volta aveva anche qualche sostenitore. Incredibile. Comunque ho deciso che terrò da parte i miei scontrini d'ora in poi, e che pubblicherò su questo blog i miei inutili frammenti di pensiero. No, di scrivere tanto non se ne parla, da un anno a questa parte sembra che non ne abbia più le capacità.

Basta, basta. Che sono stanco e ho voglia di fumare.