sabato 9 gennaio 2010

Hurt

Ero seduto sulla mia poltrona a riflettere mentre mi fumavo una sigaretta. Non sapevo che ore fossero, era tutto il giorno che stavo dentro casa senza far nulla, pensando e basta. Avrei dovuto fare molte cose: il mio frigorifero conteneva la bellezza di un limone secco e un cartone del latte scaduto, quindi un salto al supermercato sarebbe stato doveroso farlo; poi dovevo andare alle poste per pagare una multa - feci la furbata di attraversare col mio motorino un incrocio in cui il semaforo indicava ineluttabilmente il rosso, proprio davanti al gabiotto della polizia municipale -; dovevo anche andare a casa di un mio amico che mi doveva la bellezza di settantacinque euro che gli prestai per comprare un biglietto aereo per non-ricordo-dove. Ma la mia indolenza fece sì che rimanessi in casa, solo, a fumare e a bere dell'ottimo vino che mi era stato regalato per natale, un Don Giovanni del 2002. In realtà non sapevo se si trattasse di un ottimo vino, non ne capisco nulla di aromi fruttati, sapori di tappo e retrogusti di assolate regioni italiane, però mi piaceva. Dalle casse dello stereo usciva calda e soffocata la voce di Trent Reznor: "I hurt myself today, to see if I steel feel, I focus on the pain, the only thing that's real...". Esattamente un mese prima io e Maria ci eravamo lasciati. In realtà la lasciai io, nonostante volessi stare con lei e l'amassi anche più della mia vita. Ma lei fu davvero brava, riuscì a rigirare la frittata un po' come volle e fece sì che fossi costretto a lasciarla poichè lei non voleva più stare con me. Quanto mi comportai stupidamente, mi feci mettere i piedi in testa anche l'ultimo giorno della nostra breve ma intensissima relazione. Canzone più adatta nonl la potevo ascoltare: mi stavo esattamente focalizzando sul mio dolore da un mese a quella parte, ed era davvero l'unica cosa che mi facesse sentire vivo. Il dolore era un ottimo rimedio che sovente utilizzavo quando dovevo curarmi dalla più terribile delle malattie, la quale purtroppo mi assillava da più d'un lustro.
Il vuoto.
Allo stomaco provavo la stessa identica sensazione che provai pochi anni prima quando, dopo aver bevuto una quantità industriale di whiskey e rum, vomitai tutto me stesso sul marciapiedi di una strada del centro. Le mie membra erano avvolte da una specie di calore che promanava da tutti quanti i pori della mia pelle, riuscivo a muoverle a malapena. Per contrappasso, all'interno del mio corpo sentivo il sangue fluire velocemente, e ciò mi provocava qualche giramento di testa e un annebbiamento quasi totale della vista.
Ma quel giorno non era così. Quel giorno il dolore mi riempiva tutto il corpo, ogni piccolissima cellula di ogni mio apparato del mio organismo era satolla di dolore.
Non avevo voglia di piangere, non mi veniva per nulla. Un po' mi dispiacque, ma in fondo pensai che fosse meglio così. La sigaretta era finita, e la spensi nel posacenere. Mi alzai dalla poltrona e mi misi davanti alla finestra. Stava piovendo, ed era una pioggia color ruggine: "If I could start again a million miles away, I would keep myself, I would find a way".
Ricominciare tutto da capo? Davvero era possibile farlo? Potevo scrollarmi dalle spalle tutti i miei peccati? Tutti i miei errori? Tutti quei pesi che gravavano sulla mia esistenza? Tutte quelle responsabilità non mantenute? Tutte quelle delusioni? Tutte quelle persone che non volevo vedere, quelle che mi avevano ferito e quelle che avevo ferito?
If, quel maledetto "se" che distrugge tutti sogni e le aspettative di un uomo.
Non potevo fuggire dalla mia vita, ma non volevo neanche affrontarla a viso aperto. Ero curioso di osservare in maniera piuttosto distaccata la sua evoluzione, non mi piace pensare di essere artefice del mio destino. Questa è davvero una responsabilità troppo grande che non voglio prendermi neanche per sogno.
Presi un biglietto dell'autobus scaduto, ne strappai un pezzettino e ci feci un filtro. Poi misi una mano nella tasca della giacca sull'attaccapanni e ne estrassi un piccolissimo tocco di fumo, che scaldai e sbriciolai sulla mia mano sinistra. Mescolai il risultato con un po' di vecchio tabacco secco che tenevo apposta per occasioni del genere e rovesciai il tutto su una cartina. Cominciai a girare, a girare, a girare. Inserii il filtro, e chiusi con le dita la canna. Leccai la cartina con la stessa delicatezza con cui leccavo fino ad un mese prima le "altre" labbra di Maria, un gesto tanto sconcio quanto dolce e affettuoso, e strappai la parte di cartina superflua. Cominciai a fumare.
Guardai l'orologio, ed erano le cinque del pomeriggio.

Ed ho come la sensazione di aver lasciato in bella vista spaventosi errori grammaticali e banalissimi sentimenti ai più comuni.

1 commento:

  1. è buono. un po' troppo patetico( nel senso di pathos), forse avresti dovuto asciugarlo un po' dai sentimentalismi.

    G.

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