lunedì 11 gennaio 2010

Elogio allo squallore

Nella stropicciata mattina di Gennaio in cui mi svegliai trovai la gentile e pacata accoglienza di una pioggerella gelida come il bacio di una puttana. Chiusi le finestre della camera e andai in cuina per farmi un caffè. Frattanto come al solito mi ero preparato la sigaretta con l'accendino accanto al bicchierino di vetro e avevo messo su un po' di musica dallo stereo. Il caffè venne su e lo versai nel bicchierino. Posai la moka e presi lo zucchero: due cucchiaiate mi sembravano più che sufficienti.
Il caffè più schifoso della mia vita.
Non so perchè, ma era da più di un anno che non riuscivo a fare un buon caffè. Non cambiavo nè le dosi di caffè nè le dosi d'acqua, eppure mi veniva male. Allora aumentavo l'acqua e diminuivo il caffè. Niente. Allora aumentavo il caffè e diminuivo l'acqua. Nisba. E così mi ritrovai a sorseggiare questa brodaglia calda dal sapore pungente in una mattina qualsiasi di Gennaio resa ancor più squallida dal grigio cielo che pesante come una immensa coperta sormontava tutta quanta Roma.
Finito il caffè e accesa la sigaretta decisi che quello era in assoluto il momento migliore per andare al bagno. Mi sedetti sul water e cominciai con un'allegra sinfonia di peti e gorgoglii vari, mentre con la mano sinistra tenevo la sigaretta e con la destra un libercolo di Cioran: "Sillogismi dell'amarezza". Una lettura assai simpatica, ideale per un ragazzo sempre tendente a vedere l'oblio delle cose (quando poi si manifesta al mondo per allegro e spensierato menefreghista).
Inspirai la sigaretta, aprii i libercolo, e la prima frase che lessi fu: in un mondo senza malinconia gli usignoli si metterebbero a ruttare. Grazie, grazie Cioran! Ogni giorno di più mi fai capire che lo squallore e la tristezza e l'amarezza e la malinconia e quella specie di vuoto esistenziale che provo in ogni singolo istante in cui non faccio nulla (cioè praticamente sempre) sono indispensabili per la vita di un ragazzo che fa della passività nei confronti degli eventi che lo assalgono la sua ragione di vita.
La defecazione fu assai piacevole, mi risollevò notevolmente combinata con la lettura ispiratrice di una sola frase, così spensi la sigaretta cominciata da poco e mi sedetti sul bidet.
Per un attimo pensai di trastullarmi un po' con il mio inseparabile compagno di vita, con colui il quale detta il novantanove per cento di tutti i miei comportamenti e, spero, almeno il cinquanta per cento dei comportamenti delle gentili ragazze che conosco. Ormai era bello turgido, l'acqua calda aveva stimolato i centri nervosi assieme al mio tastarlo, e il sangue rapidamente fluiva dal cervello fino a lui. Lo impugnai con delicatezza e abbozzai un movimento dall'alto verso il basso, ma immediatamente mi feci ribrezzo; lo piazzai sotto un potente getto di acqua gelida e quello subito si ritirò amaramente, tornando al suo pietoso stato di unica via d'uscita per il piscio. Aveva perso tutte le sue altre mansioni, non era più lo schifoso dittatore che comandava i miei pensieri e i miei gesti.
Avevo vinto.
Finii di lavarmi, mi asciugai, e mi stesi sul letto. Lui provò un'altra volta a farmi capire ciò che voleva che io volessi. Non gli diedi retta e mi addormentai.

Un corridoio. Tutto grigio, tutto fumo. Una porta. La apro? Entro. Luce rossa, sembra una camera oscura. Una brandina. Una donna bellissima. Alta, formosa, i capelli neri che si appoggiano morbidi sulle sue dolci spalle, il collo lungo e gentile nei movimenti, le labbra rosse come due pesche succose, gli occhi grandi e lucenti, un po' maliziosi. Mi sorride e le vado incontro. Non una parola. Lei mi bacia, io ricambio felice, e sento un'altra volta lui che preme contro la parte bassa del suo bacino. A lei piace. Sorride. Mi bacia. Mette le mani dentro i pantaloni. Dio sta per scoppiare, non è mai stato così gonfio! Ci sdraiamo, e continuiamo ad abbracciarci, a baciarci, a toccarci; una sinfonia di gesti e sensazioni, di salive che si mescolano e di calore che vaga tra i due corpi, calore che crea una specie di accogliente lenzuolo scuro oltre il quale il gelo spadroneggiava. Io sudo, lei suda, noi sudiamo. Lo tiro fuori, è giunto il momento. Si sdraia supina, e ancora non proferisce verbo. Continua a sorridere, scanza le mutandine e apre le gambe come se con esse mi volesse abbracciare, come se volesse intrappolarmi con le sue tenaglie dell'amore. Non posso sottrarmi. Mi avvicino, mi appoggio su di lei. Chino la testa, la bacio. Mi appoggio col braccio sinistro sul materasso, e lì butto tutto il peso del corpo. Subito il braccio comincia a formicolare. Con la mano destra impugno quella specie di cannone carico di polvere da sparo, e lo dirigo verso quell'accogliente conca, umida e dall'odore fortissimo. Sto entrando, ti vedo. Sorridi. Sei bellissima. Ti amo.

Mi svegliai con gli operai che battevano un martello pneumatico sopra il garage sotterraneo in riparazione. Guardai l'orologio, non avevo dormito più di mezz'ora. Bestemmiai, andai in bagno, e mi masturbai.
Avevo perso.

1 commento:

  1. questa mi piace. molto buona soprattutto da 2/3 in giù. la defecatio, la masturbazione mancata, il sogno (reso bene con il flusso), masturbazione necessaria. In dei momenti ho anche sorriso.
    Un neo è la parte su vedere la vita grigia blabla, non necessaria imo.

    comunque buono ztebanì

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